economia · politica

IMU = Bancomat

La faccenda è questa: cerchi di spiegare a un piddino -economista o meno- che la patrimoniale IMU fa malissimo ai consumi delle famiglie, agli investimenti nel settore dell’edilizia e in generale all’economia perché i proprietari di case diverse dalla prima -stufi di fare il bancomat dello stato- le mettono in vendita in massa abbassando il prezzo anche delle prime case.

IMU_Bancomat_2

Perché anche il valore delle prime case cala? Beh non è necessario avere un premio Nobel per l’economia per capire che non tutte le seconde e terze case sono a Cortina o Portofino: la maggior parte di esse è situata negli stessi mercati dove stanno le prime case.

I proprietari-stanchi-di-fare-il-bancomat, cioè di ricevere rendimenti vicini allo zero sulle loro case e terreni acquistati nei decenni -se non nei secoli- per mettere a frutto i sudati risparmi, per l’appunto mettono in vendita queste case e terreni, ma il lento calo dei prezzi degli immobili colpisce tutti, mica soltanto i “presunti ricchi”.

Ecco: il piddino ti ascolta e ti spiega che “proprio non possiamo tagliare le tasse ai ricchi”. Poi può capitare che ti ripeta la famigerata “cantilena OCSE” secondo cui una patrimoniale sugli immobili è il modo giusto per remixare le tasse (cioè senza variare la pressione fiscale complessiva) e far ripartire la crescita.

Ma quando mai! Come mostriamo qui (e come raccontato oggi da Antonio Signorini su Il Giornale) l’analisi econometrica che mostrerebbe gli effetti di crescita di un aumento del prelievo immobiliare a parità di gettito complessivo non è robusta: partendo dal principale articolo a sostegno di tale tesi (Arnold et al., Economic Journal 2011), basta essere un po’ più prudenti sulla precisione delle stime, considerare un insieme diverso di paesi sviluppati o un intervallo temporale più ampio e la correlazione positiva tra tassazione immobiliare e crescita economica nel lungo periodo va a carte quarantotto (versione da bar del “non è più significativa dal punto di vista statistico”; oppure: “inutilizzabile”, come ben scrive Signorini).

L’unico risultato “robusto”, “utilizzabile” dentro il paper di Arnold è la correlazione negativa e significativa tra pressione fiscale e crescita economica nel lungo termine: detto in altri termini, paesi con minore pressione fiscale -controllando per fattori confondenti- nel lungo termine crescono di più di paesi con maggiore pressione fiscale.

Ma per abbassare in maniera permanente la pressione fiscale bisognerebbe tagliare la spesa pubblica corrente, ridurre il perimetro dello stato nell’economia.

Credi davvero che un piddino abbia voglia di farlo? Dato che la risposta è tipicamente NO, allora dalli al proprietario di case!

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