Ci avete fatto una testa tanta su quanto sia necessario mettere più soldi nelle tasche dei cittadini, perché finalmente possano spendere e rivitalizzare l’economia che appassisce; ci avete raccontato di un Mario Draghi presidente della BCE che ha il braccino corto e non immette abbastanza liquidità nel sistema, e dunque permette che l’economia dell’eurozona -e soprattutto quella italiana- cresca poco, o comunque non abbastanza.
Ultima arrivata l’idea di mettere in circolo una “quasi moneta”: i curiosi #MiniBot, cioè titoli di stato di piccolo taglio che possono essere usati anche per pagare le imposte. Ma il mantra resta sempre lo stesso: non c’è abbastanza moneta messa in giro dalla banca centrale, non c’è abbastanza offerta di moneta.
Ma la vera domanda è “Abbastanza offerta di moneta rispetto a che cosa?”
Per rispondere a questo interrogativo bisogna riflettere sull’esistenza dell’altro lato del mercato, cioè la domanda di moneta: intendiamoci, roba da corso base di macroeconomia, non esoterici argomenti da tesi di dottorato in economia al MIT.
Non puoi obbligare cittadini e imprese a mettersi in tasca tutta la moneta che il governo o la banca centrale vuole, se il mezzo per farlo è acquistare i titoli di stato che possiedono. Il meccanismo attraverso cui la banca centrale può cercare di farlo consiste nel comprare i titoli di stato che la parte privata dell’economia possiede così da abbassare il tasso di interesse che questi titoli pagano. Dato che il costo di detenere moneta è dato dall’interesse che ricevo su titoli diversi dalla moneta, un tasso di interesse più basso mi induce a detenere più moneta, esattamente perché è meno costoso farlo (rinuncio a un tasso di interesse più basso).
E per quali ragioni un soggetto privato ha voglia di detenere moneta che non dà interesse piuttosto che titoli di stato -o altre obbligazioni o attività finanziarie- che un interesse lo danno? Le ragioni principali sono due:
- La moneta è il mezzo più liquido che mi permette di saldare debiti e di acquistare beni e servizi: si tratta di una domanda di moneta per transazioni che cresce al crescere del reddito del soggetto in questione (più ho un reddito alto più è alto il mio consumo) e -a livello complessivo, aggregato- al crescere del reddito totale, cioè del prodotto interno lordo.
- Il fatto che la moneta sia liquida mi permette di “stare alla finestra”, ovvero di aspettare di vedere che cosa succederà prima di decidere che cosa fare con questa disponibilità di mezzi liquidi, cioè di potere d’acquisto. Sotto questo profilo, quanto più sono incerto sul futuro, tanto più mi viene voglia di “tesoreggiare”, cioè di tenermi un tesoro sotto forma di moneta in attesa di capire che cosa succederà nel futuro. Se i cittadini e le imprese decidono in massa di tesoreggiare -cioè di detenere più moneta- la moneta per definizione passa di mano meno velocemente, e dunque la singola banconota, il singolo deposito bancario “sta fermo” invece di assolvere ripetutamente durante lo stesso anno alla funzione di essere usata per comprare qualcosa.
Ed eccoci dunque all’inghippo che sembra sfuggire a molti: se c’è molta incertezza sul futuro dell’economia o dei conti pubblici la domanda di moneta per il secondo motivo (quello speculativo/di tesoreggiamento) è particolarmente elevata e dunque in termini relativi l’offerta di moneta deve rincorrere tale richiesta di moneta.
Detto in altri termini: può darsi il caso di un’offerta di moneta che cresce ma fa fatica a rincorrere una domanda di moneta che per l’incertezza cresce ancora di più. Quindi in maniera salomonica si può dire che hanno parzialmente ragione coloro che si lamentano per un’offerta di moneta che non cresce abbastanza velocemente. Dico parzialmente perché la ragione di ciò non sta tanto nella spilorceria dei banchieri centrali, quanto per un problema dall’altro lato del mercato, cioè una domanda di moneta a fini di tesoreggiamento che si è espansa moltissimo dopo la crisi finanziaria del 2008/2009. E allora l’azione dal lato dell’offerta di moneta cura nel breve termine i sintomi del problema, ma non la causa, cioè l’incertezza che spinge verso l’alto la domanda di moneta (e verso il basso la propensione a “farla girare”).
E allora la domanda finale diventa questa: quanto di questa incertezza riguarda le politiche economiche e fiscali future? Se l’incertezza sui conti pubblici è una delle determinanti fondamentali nel rallentare il ritmo con cui girano i soldi in Italia, allora dovremmo parlare di più di tasse e spesa pubblica, e chiarirci le idee su quel che propongono i partiti italiani per governare il paese nella prossima legislatura.
In realtà è da un po’ che non sento la locuzione “non c’è abbastanza offerta di moneta” e simili, espressioni che tra l’altro tradivano il concetto sbagliato di una Banca Centrale che cala i soldi in tasca a chiunque nell’economia. Ché già come racconti la moneta entra non dalle tasche di qualcuno a caso, ma di coloro che in cambio possono vendere – sottolineo: vendere – titoli.
Infine, come sai più che bene, di liquidità in giro per l’Europa e per il mondo ce ne è fin troppa.
Ma tutto questo conta relativamente: il tuo pezzo è un articolo sul rapporto tra domanda di moneta e incertezza, e va bene così. Diciamo che l’hai presa larga.
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Caro Professore,
la sua tesi dunque é che l’offerta di moneta generata dalle politiche monetaria non convenzionali abbiano semplicemente soddisfatto la domanda addizionale di moneta derivante da domanda precauzionale di moneta. Mi pare di capire, che Lei sostiene che, in assenza di questa domanda azzionale, ci sarebbe stato un notevole incremento dei prezzi (inflazione). Ció infatti é – secondo i libri di testo – l’effetto collaterale di un eccesso di offerta di moneta.
Non so se ho capito bene. Se ció fosse il caso, allora mancherebbe una variabile importante e cioé i salari nominali, la cui dinamica resta contenuta. ”
Cordiali Saluti
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